di Carlo Ghidelli, Arcivescovo emerito di Lanciano-Ortona
Il tema scelto per l’Expo 2015 “Nutrire il Pianeta. Energia per la Vita” non può non interpellarci come cristiani, noi che siamo i fortunati destinatari di quella Parola che illumina ogni uomo (Giovanni 1, 9). Nostro compito e dovere perciò è quello di riflettere su questo tema alla luce della parola di Dio scritta: non solo per coglierne le molteplici valenze di significato, ma anche per chiederci se, a livello individuale e comunitario, siamo in regola con la volontà del Creatore. Quello che più colpisce è il molteplice e contrastante approccio della Bibbia al tema del pane. Sarebbe disonesto negarlo e procedere come se tutto fosse rose e fiori: in realtà anche il pane, che pur costituisce il dono principale di Dio all’umanità, è un bene contrassegnato da luci e ombre.
Cominciamo col richiamare una verità fondamentale che troviamo formulata alla perfezione in questo versetto del salmo 114: «I cieli sono i cieli del Signore, ma ha dato la terra ai figli dell’uomo». Il contrasto tra cieli e terra sta a indicare non tanto due luoghi materiali quanto piuttosto due condizioni di vita: i cieli appartengono a Dio per diritto, mentre la terra è donata all’uomo perché la valorizzi al meglio delle sue effettive possibilità. Ora la Bibbia ci insegna che la terra Dio l’ha data all’uomo perché la coltivasse e la custodisse (Genesi 2, 15): due verbi che esprimono con chiarezza l’intenzione del Creatore. Innanzitutto, la terra ha da essere coltivata perché da essa possiamo ricevere quanto è indispensabile per la nostra vita. Il verbo ebraico soggiacente contiene anche l’ idea della adorazione, come se volesse dire che, coltivando la terra come si deve, noi facciamo un atto di culto verso il Creatore. Un altro compito dell’uomo verso la terra, dono di Dio, è quello di custodirla perché essa costituisce l’habitat necessario per una vita sana e serena. Il verbo ebraico soggiacente contiene anche l’idea dell’obbedienza, come per dire che custodendo la terra noi obbediamo a un preciso comando del Creatore.
«Maledetto il suolo per causa tua!/ Con dolore ne trarrai il cibo/ per tutti i giorni della tua vita» (Genesi 3, 17). La maledizione di Dio cade sul serpente e sulla terra, ma non sull’uomo e sulla donna: segno che Dio per l’uomo ha in riserva il perdono: lo hanno rilevato anche alcuni padri della Chiesa, come Ireneo e Ambrogio.
All’uomo però viene detto: «Con il sudore del tuo volto mangerai il pane finché non ritornerai alla terra, perché da essa sei stato tratto: polvere tu sei e in polvere ritornerai». Dunque, fatica e dolore sono il frutto del peccato, che ha prodotto una sorta di ribellione della terra verso l’uomo: d’ora in avanti i suoi frutti la terra li darà solo a condizione che l’uomo la irrori con il sudore della sua fronte. Il peccato dunque ha rotto l’armonia non solo dell’umanità con Dio, ma anche tra l’uomo e la terra, come pure tra l’uomo e la donna. Mistero grande anche questo, che tuttavia non deve essere interpretato come un aspetto della maledizione divina.
Nel libro della Genesi troviamo una pagina un po’ misteriosa: quella nella quale si racconta della visita di tre personaggi ad Abramo (vedi Genesi 18, 116). Nei loro confronti Abramo esprime tutta la sua venerazione e testimonia una magnifica ospitalità.
Il carattere divino di questi personaggi si manifesterà solo progressivamente: allora emergerà anche l’importanza del pane offerto. In effetti ad essi il patriarca, con la collaborazione di Sara, sua moglie, offre un lauto banchetto: focacce, carne di vitello, panna e latte fresco: quanto basta per manifestare la sua riconoscenza. E noi sappiamo che Abramo sarà ricompensato largamente perché essi sono venuti per annunciare che Sara avrebbe avuto un figlio. Già nel primo Testamento perciò abbiamo chiara testimonianza della capacità dell’uomo di fare del pane un traitd’union tra persone diverse. Riferendosi a questo evento l’autore della lettera agli Ebrei scriverà: «Perseverate nell’amore fraterno. Non dimenticate l’ospitalità: alcuni, praticandola, hanno accolto degli angeli senza saperlo» (13, 12).
Dal libro dell’Esodo apprendiamo che al suo popolo, che rimpiangeva le famose cipolle d’Egitto e mormorava per mancanza di cibo nel deserto, Dio ha dato la manna, che possiamo chiamare il pane della contestazione (vedi Esodo 16). Un episodio da meditare attentamente per la sua valenza pedagogica. Questa richiesta di cibo perciò va intesa come una pretesa da parte del popolo e quindi come una mancanza di fede nella divina provvidenza. Alla fine veniamo informati che anche di questo cibo prelibato gli Israeliti sentirono nausea a tal punto da cadere in una seconda mormorazione.
In effetti Dio ascolta la preghiera di Mosè, e quindi anche la mormorazione del popolo, ma a certe condizioni. Per esempio, l’osservanza del sabato come giorno di riposo, inteso come imitazione del riposo di Dio nell’opera della creazione. Ricordiamo che l’osservanza del riposo sabbatico costituisce una limitazione del potere economico dell’uomo, che è un potere prestato dal Creatore; il vero proprietario degli uomini e delle terre è Dio: di conseguenza quello dell’uomo è un potere limitato. Emerge quindi il pericolo di una economia spietata, che subordina al profitto le materie e gli attori del processo lavorativo.
Ci sarebbero molte altre pagine della Bibbia da citare e commentare; preferisco però terminare questa riflessione con un breve commento alla preghiera del “Padre nostro” (vedi Matteo 6, 915). Gesù ci ha insegnato a formulare la nostra preghiera al plurale, non al singolare per molteplici motivi: non solo per le nostre necessità materiali, ma per tutte le necessità anche spirituali, nostre e altrui. A nessuno perciò è lecito privatizzare questa preghiera. Inoltre potremmo anche dire che in quel “nostro” non ci siamo solo noi, suoi discepoli e fratelli, ma ci sta anche lui, che prega con noi e ci fa da guida nel nostro cammino verso il Padre (vedi Ebrei 6, 20). Infine rileviamo che la richiesta del “pane nostro” viene dopo l’invocazione “Padre nostro”: ne deriva che non avremmo il diritto di chiedere il pane quotidiano se non riconosciamo di avere tutti un solo Padre, creatore e provvidente.
Da questa rassegna, breve e sommaria, di eventi biblici possiamo comprendere alcune verità che non sarà inutile ricordare. Anzitutto, che la terra (il pianeta) è un dono di Dio e come tale deve essere trattato: è chiaro che su questo punto abbiamo molto su cui riflettere e forse anche qualcosa per cui pentirci. Sarebbe opportuno confrontarsi su questo punto anche in comunità o nei gruppi ecclesiali. In secondo luogo, comprendiamo che compito dell’uomo nei confronti della terra è quello di coltivarla e di custodirla, senza dimenticare che in questo modo non procuriamo solo il nostro bene, ma rendiamo al Creatore il culto che si merita. Infine, comprendiamo che il pane Dio lo dona non solo per necessità strettamente personali, ma anche per creare vincoli di fraternità e di amicizia. Infatti non siamo stati educati a chiedere “il pane mio” o “il pane tuo” ma “il pane nostro”. Dobbiamo quindi rispettare la tonalità che Gesù stesso ha voluto dare a questa preghiera. Abbiamo perciò l’opportunità, in comunione con tutte le creature di tutti i tempi e di tutti i luoghi, di professare la nostra fede nella creazione: Credo il mondo: creato, sostenuto e amato da Dio Credo la storia: visitata, guidata e redenta da Dio Credo l’uomo: icona, immagine e figlio di Dio.