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Quando Villa Clerici ospitava ex carcerati

officina

di Luigi Codemo

«Un’istituzione unica al mondo». Questo il titolo di un lungo articolo dedicato alla Casa di Redenzione Sociale pubblicato nel 1941 su L’Ambrosiano, quotidiano milanese dell’epoca. E in effetti l’idea e le attività che erano state avviate ormai da quattordici anni dalla Compagnia di San Paolo a Villa Clerici avevano un che di eccezionale, di pionieristico: fondare, nella periferia di Milano, un luogo di rieducazione volto ad offrire ad ex carcerati la possibilità di essere seguiti nella delicata fase dell’inizio di una nuova vita, di imparare un mestiere, di riacquistare stima in se stessi. Ecco un brano riportato da quell’articolo pubblicato su L’Ambrosiano:

«L’idea della casa era germinata da un’esperienza. Non è sufficiente spesso procurare un pane, un vestito o del lavoro a chi ha passato anni nel carcere, ed ha la volontà disfatta dal vizio; bisogna ricostruire questa volontà, ridare al cuore una sensibilità, una capacità di amare, ricuperare la fiducia in se stessi, nella vita. E tutto questo non si può compiere che con un paziente, fraterno accostamento personale…
Coloro che cercano ricovero e protezione a Niguarda debbono dare prova immediata del loro fermo proposito accettando di non uscire dall’Istituto se non una volta a settimana, la domenica, e solo per qualche ora. Di applicarsi ad apprendere a lavorare e quindi a seguire gli insegnamenti dei più pratici nei laboratori di tipografia e lavorazione dell’alluminio, per poi farsi a loro volta ottimi meccanici, tornitori, fonditori, tranciatori, stampatori, tipografi».

Villa Clerici costituiva un luogo ideale per offrire un contesto non coercitivo ma allo stesso tempo ordinato da precise regole condivise. Anche l’ubicazione, esterna alla città ma non separata da essa, permetteva un graduale avvicinamento alla vita sociale. L’uscita dal carcere trovava qui modo e tempo per trasformarsi in un reintegro, libero e operoso, nel vivere sociale.
Un report statistico del gennaio 1956 evidenziava che in 28 anni di attività ben 5897 dimessi dal carcere erano stati assistiti dalla Casa di Redenzione Sociale. Ma il dato sbalorditivo è che la percentuale di adulti che non commettevano più reati raggiungeva il 62%; con i ragazzi il successo arrivava all’85%.

Alla fine degli anni ‘50, in un contesto sociale che andava modificandosi rapidamente, Casa di Redenzione Sociale concentrò la sua attività nell’educazione rivolta ai minori con problemi di carattere sociale. L’attività educativa si spostò nei padiglioni accanto alla villa, mentre tra le antiche mura del ‘700 iniziò l’esposizione della Galleria d’Arte Sacra dei Contemporanei: l’attività artistica iniziava così ad affiancare quella educativa a testimonianza del fatto che l’esperienza della bellezza è fondamentale per l’uomo nel riscattare il degrado sociale.

Da allora l’attività è sempre continuata. Certo, anno dopo anno, i metodi si rinnovano perché cambiano i problemi da affrontare. Nuove emergenze chiedono nuove soluzioni. Ma sempre permane quell’attenzione ai segni dei tempi letti alla luce del Vangelo per cercare di rispondere con gli strumenti e le risorse disponibili ai bisogni sempre nuovi che emergono, oggi come allora.

Significative quindi, oltre che prezioso documento storico, risultano le parole che don Giovanni Rossi scriveva ne Il Piccolo del 19 maggio 1927, alla vigilia dell’inaugurazione della Casa di Redenzione Sociale.

«A Niguarda gli uomini che nel carcere forse non ebbero che pene, sentiranno l’amore; gli uomini che dalla società attossicata dal vizio, non ebbero se non cattivi esempi, vedranno la bontà, vedranno la carità; gli uomini che conobbero solo i piaceri della carne sentiranno le gioie dello spirito; gli uomini che vissero reietti, derelitti, godranno le riposanti dolcezze di una famiglia; gli uomini che non udirono mai che parole d’odio e di oltraggio contro la patria, sentiranno ora le parole benedicenti la patria, i fratelli, il lavoro.
I giardini sono tutti fioriti, le campagne che circondano la villa sono tutte verdeggianti, le sale eleganti sono tutte linde e imbiancate come alberghi di prim’ordine.
Al Segretariato di Milano decine di uomini reduci dalle prigioni già si sono iscritti per essere i primi ospiti del convalescenziario nuovo.
Al primo piano della villa si stanno disponendo i laboratori; uno per il cappellificio che il nostro buon prof. Loris col suo papà personalmente ha voluto iniziare a proprie spese, poi un laboratorio di falegnameria e di segheria che la ditta Biasioli di Genova ci fa aprire per fornire di cassette di imballaggio per il suo estratto di carne che sarà venduto a favore della casa di Niguarda.
Anche il nostro bravo Oreste Bianchi ha portato alcune macchine tipografiche per allargare, come in una succursale, la tipografia di Milano.
Un capo agricoltore dirigerà i lavori agricoli. Un capo sarto e un capo calzolaio terranno scuole di sartoria e calzoleria. Questo è quanto abbiamo preparato; ma io spero che i nostri amici in brevissimo tempo intorno a questi laboratori convergeranno la loro benevolenza per farli produttivi, per renderli mezzi di riabilitazione sociale a tanti poveri uomini che ne hanno immenso bisogno… Io mi auguro che la nostra casa di rieducazione sociale possa essere domani un fatto, che a tutti gli studiosi delle scienze sociali e psicologiche dia argomento di consolazione e conforto. Che questa casa sia prova evidente di quello che noi pensiamo e crediamo e cioè che solamente la grazia può vincere e superare la natura e farla buona, onesta, santa; che la grazia è tanto efficace da risollevare gli uomini caduti nel peccato e nelle abiezioni della vita, da ridonare al padre il figliuol prodigo che trova non solo il perdono, ma l’abito nuovo e la mensa ricca per cui può ricominciare la sua esistenza».

Nella foto
Laboratorio di lavorazione dell’alluminio della Casa di Redenzione Sociale a Villa Clerici, nel 1941.

Articolo pubblicato ne Il Piccolo 6/2013